Il sambuco

22 Giugno 2022 by - Articoli

Il sambuco

Da sempre i campi agrari sono delimitati, oltre che da cippi lapidei nella maggior parte dei casi scomparsi, da siepi e da alberelli che ne segnano il confine. Di solito le piante prescelte per delimitare il confine erano il melo cotogno (Cydonia oblonga), specialmente nelle aree collinari e costiere, il maggiociondolo (Cytisus laburnum) nella valle Subequana e il sambuco (Sambucus nigra) utilizzato in un contesto territoriale ben più ampio. Nella nostra zona ancora oggi si trovano tanti confini segnati con il sambuco.

La scelta di queste specie era legata in primo luogo alle dimensioni ridotte; infatti si tratta di specie per lo più arbustive o alberelli, di conseguenza occupavano poco terreno e producevano un’ombra esigua e se tagliati e rinascevano con nuovi getti.

Da sempre le piante hanno rappresentato una essenziale risorsa nell’evoluzione umana in quanto fonte disponibile, rinnovabile e inesauribile di cibo, legno, tessuti, cure e tanto altro. Tuttavia alcune di esse hanno saputo affondare le proprie peculiarità nel cuore e nella mente delle popolazioni antiche diventando un elemento simbolo come l’ulivo per i romani, l’abete per i greci, il salice per gli egizi e il ficus per gli indiani.

Anche i Sanniti avevano la loro pianta sacra immancabile nei riti magici e propiziatori, nelle festività, nella medicina popolare e negli usi quotidiani: il Sambuco nero.

La professoressa e antropologa abruzzese Maria Concetta Nicolai nell’opera “La sacralità alla base di una norma consuetudinaria: il sambuco, come termine agrario del campo”, riporta il risultato di alcuni studi glottologici che spiegano come il nome di Sanniti, Sabelli e Sabini derivi comunemente dal radicale sabus (sambus), lo stesso del nome sambuco e che i tre popoli siano stati coltivatori di sambuco.

L’usanza di coltivare il sambuco ha resistito fino ai giorni nostri tanto da diventare un elemento peculiare delle campagne italiane, molto spesso proprio per delimitarne l’estensione. La scelta di questa essenza è legata in primis alle dimensioni ridotte che non sottraggono troppo spazio alle colture, poi alla facilità di essere riprodotte per talea e alla straordinaria capacità di emettere nuovi getti. Queste ultime due caratteristiche garantiscono inamovibilità e durata del confine rivelandosi notevolmente più efficaci rispetto ai termini lapidei che potevano essere spostati per sottrarre terreni al vicino (Manzi A., op. citata in bibliografia)

Il sambuco era considerato sacro anche per il potere curativo esercitato dai numerosi principi attivi presenti nei suoi organi. Già nel neolitico i frutti di sambuco venivano fatti fermentare per ricavarne bevande leggermente alcoliche, medicamentose.

Non solo per magie e medicamenti si ricorreva al potente sambuco ma anche nelle attività lavorative ci si serviva delle sue parti: dai frutti maturi si ricavava un colorante viola per tingere i tessuti e un rudimentale inchiostro per scrivere, mentre il legno era molto apprezzato da falegnami e contadini per la proverbiale leggerezza unita ad una eccezionale resistenza delle fibre. Molti manufatti sono stati realizzati col legno di sambuco come i gioghi per i buoi.

Negli ultimi anni il Sambuco nero sta tornando in auge soprattutto per la confezione di sciroppi, bevande, marmellate e come integratore nelle diete dimagranti in virtù dei suoi effetti spiccatamente diuretici.

Il sambuco nero

Il Sambucus nigra L. (Sambuco nero, Sambuco comune) è un arbusto o piccolo albero caducifoglio appartenente alla famiglia delle Caprifoliaceae. È presente in tutte le regioni italiane e in questo periodo è facilmente osservabile ai bordi delle strade e nei confini dei terreni agricoli. Le larghe è candide infiorescenze rilasciano nell’aria un odore dolce inconfondibile che richiama nugoli di insetti pronti a far scorta di nettare imbrattandosi inconsapevolmente di polline. 

La famiglia delle Caprifoliaceae è distribuita nelle regioni temperate di tutto il mondo e annovera al suo interno specie erbacee, arbustive, arboree, lianose e suffruticose. La sua origine è molto antica e i primi resti fossili appartenenti ad essa risalgono al periodo Cretacico (Pirone G., op. cit. 2016). Il genere Sambucus è costituito da circa 40 specie, diffuse in tutto il globo poiché adattatesi ai climi più diversi, che vegetano sia nelle regioni tropicali sia in quelle temperate e montane. Tra le caratteristiche distintive del genere si hanno il fusto con abbondante midollo; le foglie opposte ed imparipennate; i fiori piccoli gialli o bianchi riuniti in corimbi e il frutto che è sempre una drupa.

La riverenza per “lu sammuche” (in dialetto abruzzese) ha saputo valicare gli anni tanto che a Fano Adriatico (TE), fino a pochi decenni fa, persisteva l’usanza di portare in tasca una foglia di sambuco per contrastare il malocchio (Tammaro F., 1984). Tra i contadini di Paganica (AQ) vi era la convinzione che non si dovesse bruciare il legno del sambuco altrimenti le galline non avrebbero più deposto le uova e a Basciano (TE) si ricorreva al sambuco per curare la “gnannure”, un ingrossamento delle ghiandole linfatiche, ponendo un rametto sotto il cuscino del malato.

Una delle più suggestive tradizioni che manifestano la forza simbolica che il sambuco evocava nelle genti d’Abruzzo si riscontra a Cupello (CH) e ci è raccontata dalla scrittrice Yvonne Massetti nell’opera “Medicina e cultura popolare in Abruzzo tra Ottocento e Novecento”. La Massetti testimonia che le donne del paese conducevano i malati di febbre terzana presso un sambuco e al suo cospetto pronunciavano la seguente formula: “Bon ggiorne signore sambuche, la terzane atté l’adduche, te l’adduche e tte la lasse, me la ripiglie quande arepasse”, ossia “Buongiorno signor sambuco, ti porto la febbre terzana, te la porto e te la lascio, me la riprendo quando ripasso”. Naturalmente la donna fuggendo senza voltarsi non si sarebbe più avvicinata a quella pianta negli anni a venire. (Manzi A., op.cit.).

Bibliografia:

  • Manzi A. 2003. Piante sacre e magiche in Abruzzo. Lanciano (CH).
  • Pirone G. 2015. Alberi arbusti e liane d’Abruzzo. Penne (PE).
  • TAMMARO F., 1984. Flora Officinale d’Abruzzo, Regione Abruzzo, a cura del Centro Servizi Culturali-Chieti.

Sitografia